Educare significa scegliere e resistere
L’importanza del NO per aiutare i figli a crescere.
Durata: tempo di lettura 3 minuti
Ero in Svizzera, a una serata per genitori. La mamma di un adolescente intervenendo alla fine dell’incontro, spiegò la sua strategia educativa definendola “del materasso”: fare in modo di proteggere il figlio dai colpi della vita, e “assorbire” gli attacchi del figlio nei suoi confronti. “Così non litighiamo e non si creano problemi” concluse. Secondo la signora il compito di un buon genitore è evitare qualsiasi esperienza conflittuale e oppositiva ai propri figli.
Mi chiedo come si senta davvero quel ragazzo a cui è negata ogni forma di resistenza: nessuna difficoltà da affrontare e su cui mettersi alla prova; nessuna forma di contenimento del proprio comportamento; nessuna fi gura adulta da cui distanziarsi per rea lizzare i propri compiti evolutivi. Perché il punto è proprio questo: i genitori di oggi faticano a cogliere l’importanza del NO per aiutare i figli a crescere.
Il NO della resistenza è la distanza che serve per educare: non è un ostacolo alla crescita ma una sorta di dono, perché mette nella condizione di misurarsi con le proprie forze, le proprie possibilità, e fornisce gli strumenti per uscire dalla dipendenza e diventare autonomi.
Oggi i genitori sono messi in crisi tanto dal fissare un divieto o una regola, quanto dal compiere delle scelte: “Sarà la cosa giusta o mi starò sbagliando?”, “E se poi soffrirà, e se non ce la farà?”.
È la decisione a metterci in difficoltà, e le decisioni sono un aspetto, spesso implicito, ma molto presente nelle nostre azioni educative. Educare significa fare continuamente delle scelte. Fino alla maggiore età, con ovviamente gradi diversi di autonomia, siamo noi a scegliere per i nostri figli: la scuola da frequentare; il corso a cui iscriversi; la gestione delle relazioni sociali fino alla scuola primaria; l’organizzazione della giornata; gli aspetti a cui dare impor tanza nella gestione dei propri spazi e tempi familiari, la condivisione di regole, la scelta etica di comportamenti. Ogni volta che stabiliamo una regola o un divieto suggeriamo o agevoliamo, promuoviamo o scoraggiamo un comportamento: stiamo compiendo una scelta, stiamo indirizzando a fare delle scelte. E anche quando diciamo di non volerle fare, stiamo in realtà scegliendo: anche l’astenersi è una scelta. Vale la pena di affermare con chiarezza che educare significa prima di tutto scegliere, significa “aiutare i nostri bambini o ragazzi a scegliere”, significa “compiere delle scelte al posto di”. Diventa difficile educare se ci ritroviamo paralizzati dalla paura di sbagliare; se ci rintaniamo dietro alla decisione di negare i NO nel timore di provocare troppa “sofferenza” o se la nostra strategia educativa è solo concentrata a evitare l’opposizione.
Ogni scelta in fondo comporta un conflitto: l’assumersi una responsabilità, e il resistere in nome di questa responsabilità, a tutte quelle forme di opposizione che i nostri figli mettono in campo per affermare se stessi. È questo forse che ci mette più in crisi come adulti: l’entrare in una situazione conflittuale con i figli, rinunciando a giocare il ruolo di padre o madre ideale, disposto ad accontentarli sempre e a esaudire qualunque loro desiderio, pur di vederli felici. Il ruolo è gratificante ma il risultato molto meno. Oggi molti bambini e ragazzi sono in crisi: i primi lo manifestano con diverse forme di comportamenti disfunzionali, i secondi con un ripiegamento depressivo che ha ormai assunto numeri che come adulti non possiamo più far finta di non vedere. Una ricerca condotta nel 2012 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Health for the world’s adolescents http://apps.who.int/adolescent/second decade/) ha messo in luce che, pur essendo diminuita la mortalità complessiva adolescenziale, la depressione è la prima causa di malattia nella fascia d’età tra i 10 e i 19 anni e il suicidio la terza causa di morte; che sono in aumento l’obesità e i disturbi alimentari così come le dipendenze da alcool e droghe.
Non dobbiamo dimenticare che è la resistenza del NO quella che garantisce la spinta vitale, l’energia che mette in moto la motivazione e varie competenze fondamentali come la resilienza, l’apertura ad altri punti di vista, l’autostima. È proprio quando qualcuno o qualcosa ci fa resistenza che ci accorgiamo di noi, del nostro corpo, delle nostre opinioni e della nostra volontà. Non incontrare mai un “ostacolo resistente” durante la crescita può alimentare l’illusione nociva che si può tutto o che non si esiste per nulla. La resistenza è un “riscontro” dell’esistere, che ci siamo, che possiamo, che valiamo per qualcuno.
Nella resistenza c'è interesse e legame: ci permette di ridurre le componenti eccentriche dell'educare, quelle che avvantaggiano l'adulto e danneggiano chi cresce. La resistenza è un SÌ esplicito e appassionato alle potenzialità e al futuro dei bambini e ragazzi.
Articolo di Paolo Ragusa pubblicato sulla rivista Conflitti n°2-2017
Staff
Paolo Ragusa
Responsabile della formazione, counselor e formatore
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